E’ inutile far finta di niente.
Anche gli arbitri hanno la loro squadra.
In genere, si parla con più disinvoltura della sessualità dei preti. O della fede politica dei magistrati.
Eppure non si può pensare che gli arbitri appartengano ad una stravagante famiglia di funghi, che spunta fuori all’improvviso dal nulla, nelle umide notti di luna piena.
Gli arbitri sono stati buffi bambini azzuffati nei contorti nugoli del minirugby.
Sono stati rattoppati primi centri, o estremi solitari; oppure ali dalle gambe magre e storte, coi calzettoni che cascavano sempre sulle caviglie.
E non sto parlando dei grandi idoli internazionali, come Nigel Owens, per il quale vengono anche stampate magliette con le frasi celebri (“This is not soccer” ha venduto almeno quanto il merchandising ufficiale delle più acclamate rockstars); o Steve Walsh, la cui leggendaria avvenenza mette in secondo piano parecchi Dieux du Stade, senza neppure che si sia mai tolto la inconfondibile maglia Fly Emirates.
Sto parlando degli arbitri delle oscure Serie C, o delle affollatissime giornate di Coppa Italia.
Sto parlando degli arbitri che vivono sul territorio, che sudano con i giocatori, che soffrono a loro modo insieme ai giocatori, senza poterlo fare vedere.
Perché magari, con l’arbitro, sei stato fino a 20 minuti prima della partita a scambiare amabili apprezzamenti reciproci: “Ciò, burdèl, ma stamattina ne vedi uno o due, di palloni? Perché m’han detto che stai facendo una maratona di aperitivi da una settimana!”, “Ma va’ là, che dalle vostre parti l’unico svago che c’avete è di contare le mucche che tornano giù dal Cimone. E quando c’è la nebbia, non le vedete neanche!”.
Invece, in campo, l’arbitro si deve costringere in un rigido protocollo formale, che costa uno sforzo disumano: “Capitano, per favore, dica al numero 10 che l’ultimo placcaggio era troppo alto. Questo è l’ultimo avvertimento verbale”.
Può capitare, raramente, che l’arbitro debba arbitrare la sua squadra.
Li conosce uno per uno, tutti alla perfezione.
La tensione palpabile, fino al fischio finale.
Poi la sorpresa.
Di solito, alla fine della partita, sono il capitano e l’allenatore delle squadre a stringere la mano al ref, come ringraziamento: stavolta invece, tutti i giocatori vanno dall’arbitro per abbracciarlo e salutarlo.
E se qualcuno, dopo la partita, fosse entrato per sbaglio nello spogliatoio del ref, avrebbe trovato un arbitro in lacrime di gioia, a piangere per la commozione lontano da occhi indiscreti.