di Alessandro Bosi
Sabato notte si è disputata la decisiva gara 6 delle WCF; con la serie sul 3-2 in favore degli speroni, e i Thunder sull’orlo del baratro, ci si attendeva una partita adrenalinica e decisiva e così è stato.
Facciamo, però, un passo indietro per vedere come le squadre arrivavano a questa sfida.
Detto del risultato della serie, è estremamente interessante notare che dopo i primi cinque episodi della serie non avessimo ancora assistito a una partita “tirata” fino alla fine, come testimoniato dal fatto che lo scarto finale tra le due squadre non fosse mai stato inferiore alle nove lunghezze.
Altro elemento fortemente indicativo, inoltre, era il fatto che in ognuno dei primi cinque incontri la squadra di casa fosse uscita sempre vincitrice.
Poste queste premesse, si arrivava in Oklahoma per gara 6 sapendo che sarebbe stata battaglia.
Win Or go Home
La partita sin dalla palla a due, si è incanalata sui binari dell’equilibrio con entrambe le squadre leggermente contratte offensivamente e consapevoli del fatto che ogni pallone, anche nei primi minuti aveva un peso specifico notevole.
Il primo quarto è scivolato via abbastanza tranquillo e incredibilmente, viste le contendenti, si è chiuso a basso punteggio: dopo i primi dodici minuti infatti il tabellone recitava 20-23 in favore dei padroni di casa.
Già dai primi due minuti del secondo quarto, però, si sono iniziati a intravedere alcuni dei leitmotiv della partita che si riveleranno decisivi.
Prima di tutto, incredibile ma vero, sono stati gli Spurs in casa dei Thunder a voler alzare il ritmo della partita, non tanto per alimentare il contropiede diretto quanto piuttosto per attaccare nei primi secondi dell’azione una difesa dei Thunder che vive più di un atletismo e di una lunghezza esagerati che di una ferrea organizzazione. In questo senso, attaccare subito dopo aver catturato il rimbalzo ha permesso ai texani di trovare una difesa non ancora sistemata, il che ha portato a una marea di tiri aperti e, conseguentemente, di rimbalzi offensivi.
Altra chiave tattica è stata l’incapacità della panchina di OKC di reggere l’impatto di quella di San Antonio: questo aspetto ha costretto Scott Brooks, coach di Oklahoma City, a far giocare tantissimi minuti ai suoi titolari negandogli quelle pause che ti permettono di arrivare fresco in fondo. Emblematico in questo senso il dato di Kevin Durant, stella dei Thunder, che dopo il primo tempo era stato in campo per oltre 22 minuti (!!!). Nonostante ciò, dopo i primi 24 minuti i Thunder erano sul +7 soprattutto in virtù della scarsa precisione al tiro pesante da parte dei texani.
Il secondo tempo si è aperto con una pessima notizia per i tifosi Spurs e dello spettacolo in generale: Tony Parker, point guard di San Antonio e principale fonte offensiva della squadra, a causa di un infortunio al piede non sarebbe tornato sul terreno di gioco. Le chiavi della squadra sono dunque state totalmente affidate a Manu Ginobili che, nonostante la carta d’identità reciti 36 anni, non ha deluso le attese. Gli Spurs, trascinati dall’agentino e da uno spettacolare Boris Diaw, hanno chiuso il terzo quarto con un parziale da 7-0 e finendo sul +10. I Thunder sono riusciti a reggere l’urto solo grazie alla grande prestazione di un Reggie Jackson che ha giocato come un veterano ed entrava nel quarto e decisivo quarto con 21 punti a referto.
Con le rotazioni degli esterni accorciate dall’infortunio di Parker, coach Popovich ha dovuto pescare a piene mani dalla panchina, concedendo minuti importanti a Joseph, Mills e al nostro Marco Belinelli che finirà la partita con soli 3 punti a tabellino. Nonostante il box score non sia propriamente lusinghiero mi sembra giusto spendere un paio di parole sul Beli, primo italiano di sempre a giocare a questi livelli. Vuoi per infortuni altrui, vuoi per un pizzico fortuna Marco è riuscito a ritagliarsi minuti importanti nei momenti decisivi grazie a una tripla a bersaglio e a una splendida difesa su Westbrook lanciato in contropiede (avete letto bene, su Westbrook in contropiede!!!). Logicamente se ti chiami Marco Belinelli e a livello Nba sei un giocatore tutto sommato normale, non puoi permetterti neanche un errore, infatti dopo la prima disattenzione (un fly-by difensivo su una tripla di Fisher) è stato panchinato ma il nostro Marco deve fare tesoro dei pochi minuti giocati ed evitare di ripetere gli stessi errori in futuro per diventare pian piano un buon gregario ai massimi livelli.
A sei minuti dal termine i texani si trovavano in vantaggio di sette lunghezze ed è a questo punto che gli allenatori hanno schierato i quintetti che sarebbero arrivati fino alla fine. Probabilmente è in queste scelte che si è decisa la partita. Coach Brooks ha infatti deciso di lasciare in campo il super-veterano Derek Fisher che da qui in poi sarà più di danno che di aiuto. Nei successivi cinque minuti i Thunder, nonostante ciò, piazzano un parziale di 16-9 per pareggiare i conti a quota 97 con ancora un minuto sul cronometro trascinati dal puro e semplice talento di Westbrook e Durant e dalla improvvisa e totale perdita di fluidità offensiva di San Antonio. Dopo un errore al tiro di Ginobili e il suo successivo rimbalzo offensivo, gli Spurs perdono un sanguinosissimo pallone che viene intercettato da Russell Westbrook, incurante degli oltre 40 minuti giocati, che con un contropiede fulmineo porta i suoi sul +2.
Nell’azione successiva durante una penetrazione di Ginobili, il suo lay-up viene stoppato da Ibaka dopo che ha toccato il tabellone (circostanza illegale in Nba che dovrebbe concedere due punti alla squadra attaccante) ma l’arbitro non se ne avvede perché, diciamocelo, in tutto questo delirio un errore arbitrale non poteva mancarci.
Sotto di due punti con trenta secondi sul cronometro gli Spurs disegnano un’ottima rimessa che permette a Ginobili di sfruttare un blocco verticale (e irregolare) di Duncan e lo libera per una tripla dalla punta che l’argentino puntualmente manda a bersaglio. Sull’azione successiva, un’ormai stremato Durant perde malamente il pallone che viene recuperato dall’onnipresente Ginobili il quale subisce un fallo da due tiri liberi.
L’argentino ne segna soltanto uno mantenendo viva una flebile speranza per la squadra dell’Oklahoma. Dall’altra parte Westbrook va in penetrazione deciso come non mai e si guadagna due tiri liberi. Entrambi a bersaglio. Partita in parità a quota 101 a dieci secondi dal termine.
Per l’ultimo tiro San Antonio si rivolge nuovamente a Manu Ginobili che si gioca quest’ultima azione in isolamente ma non riesce a segnare.
Overtime.
Le due squadre sono ormai stremate, e si sa che la partita verrà decisa da dettagli e dai nervi saldi.
In questo momento viene a galla l’errore di lasciare in campo Fisher; OKC, comprensibilmente sceglie di cambiare su ogni pick’n roll confidando nel fatto che, con il serbatoio della benzina ampiamente in riserva, gli Spurs non saranno in grado di sfruttare i mismatch che questa tattica puntualmente causerà. Si sbagliano di grosso e i texani useranno questa scelta scellerata a loro favore. Per quattro azioni consecutive fanno giocare il pick’n roll tra l’uomo di Fisher e Duncan provocando il cambio che ogni volta porta proprio Fisher contro il caraibico (il primo misura 185 centimetri, il secondo 211) e per quattro volte appoggiano la palla in post-basso dove Timmy letteralmente abusa dell’avversario. Da questi possessi escono sei punti che ammazzano la partita, complice anche l’inabilità dell’attacco di OKC di disegnare uno schema che liberi al tiro uno tra KD e Westbrook, costretti ogni volta a inventarsi qualcosa da soli. La partita finisce 112-107 in favore di San Antonio che tornerà a giocarsi le finali contro quei Miami Heat che l’anno scorso gli hanno strappato il titolo. Quest’anno potrebbe cambiare tutto. Stay Tuned!