Dopo la prematura eliminazione della nazionale italiana, ogni appassionato di calcio ha inevitabilmente cercato nel mondiale brasiliano, un’altra squadra da tifare, sostenere o quantomeno per la quale simpatizzare. Anche nel sottoscritto si è innescato questo strano e malsano meccanismo che costringe a prendere una parte, a schierarsi, come se la semplice possibilità di godersi lo spettacolo sportivo più bello del mondo (non me ne vogliano Olimpiadi, Champions League e Nba Finals) non fosse abbastanza.
Come di consueto, il mondiale offre un’innumerevole quantità di storie che varrebbe la pena raccontare e che spingono il tuo animo da tifoso verso l’una o l’altra direzione; tra improbabili cenerentole, giocatori di culto o aneddoti strappalacrime non è facile scegliere a chi essere devoti, e anche per me è stato così. Dopo una (non così) attenta riflessione, però, mi sono immediatamente reso conto che quando si parla di tifo, anche quello di seconda mano, la ragione serve a poco e bisogna farsi guidare dal cuore; nel mio caso, il cuore si è rivolto all’America latina e non si è più guardato indietro. Nel bene o nel male, quando si parla del lato romantico del calcio, si guarda sempre al Sud America. Si è rivolto a Cile e Messico, due squadre così diverse sul campo ma così simili per gli ideali che rappresentano, due squadre che ho semplicemente adorato.
Se l’amore per i cileni ha radici più profonde, che affondano nel terreno fertile lasciato dal calcio del loco Bielsa (ed è stato solo accresciuto dall’incredibile spot girato dai 33 minatori cileni), quello per i messicani risale alla prima partita del girone ma non per questo è stato meno intenso. Il concetto di fondo è abbastanza semplice; come ogni appassionato di futbol può confermare, quello che si ricerca il una partita è il divertimento, il pathos, la gioia e il dramma, il tutto concetrato in un rettangolo verde e in un pallone di cuoio. Cile e Messico sono le squadre sche più di tutte le altre, a mio avviso, hanno incarnato e al tempo stesso trasmesso queste emozioni verso le quali non si può restare indifferenti. Spettacolo puro.
Hanno dimostrato al mondo come, con organizzazione di gioco, idee e cultura sportiva, si possano ottenere risultati incredibili nonostante la modesta quantità di talento. Hanno giocato un calcio divertente, frizzante e alle volte estremo (soprattutto il Cile), basato sull’idea di proporre il proprio gioco a costo di perdere palla, scoprirsi, concedere contropiedi e gol banali (che tra l’altro non sono nemmeno arrivati). Hanno giocato con uno spirito di appartenenza incredibile, per nulla intimoriti dalle grandi nazionali che hanno trovato sul loro cammino, affidandosi ciecamente agli insegnamenti dei loro allenatori, incuranti dei pronostici, dei bookmakers e di tutti quelli che li davano per spacciati. Hanno regalato ai rispettivi paesi un mese di gioia incredibile e sono stati ripagati con una dimostrazione di affetto, partecipazione e amore che in un paese di nostra conoscenza sono solo lontani miraggi. Sono stati accomunati anche nella sfortuna in quanto sono andati letteralmente a un passo dall’eliminare due tra le nazionali favorite al titolo, uscendo (per usare una frase fatta) in lacrime ma a testa altissima agli ottavi di finale. Ci hanno regalato storie e personaggi incredibili, come il disoccupato Ochoa, el piojo Herrera, l’ex banchiere Sampaoli e il mastino Medel che tutti gli appassionati porteranno con se ben oltre la fine del mondiale.
La loro avventura si è conclusa qui, ma è stata bellissimo poterla vivere e raccontare. Intanto, mi vado a cercare la prossima squadra per cui tifare.