nella foto le lacrime dei giocatori del Chile da tuttosport.com
È la legge di Nereo Rocco: “In campo come nella vita”; mai ci fu una frase più azzeccata, mai ci fu un’affermazione più vera. Ogni calciatore si rispecchia nel suo modo di essere nella vita quotidiana ed ogni compagine nazionale è il riflesso del proprio paese. È la realtà dei fatti e questo Mondiale ne è l’evidente dimostrazione.
Il pianto disperato di Theofanis Gekas, dopo il rigore sbagliato contro la Costa Rica, non è altro che l’immagine di una nazione che sa di aver dato tutto e di non avercela fatta; è l’emblema di un popolo che non vuole spegnersi fintanto che c’è un lume di speranza. La formazione ellenica esce a testa alta da questa “Coppa del Mondo” con la consapevolezza di aver reso orgoglioso un paese intero. Questa è la Grecia; questo è il grande senso di appartenenza di persone che sono uomini prima che calciatori.
Unione e spirito di squadra sono le caratteristiche che contraddistinguono anche il Chile di Alexis Sanchez e Arturo Vidal. Ciò che rimane impresso dell’ottavo di finale tra “la Roja” ed il Brasile è stato l’abbraccio di tutta la squadra intorno a Gonzalo Jara, quando il sogno mondiale si spegneva contro il palo. La formazione guidata da Jorge Sampaoli ha dato prova di cosa significa uscire in “trionfo” anche da sconfitti, della grande differenza tra “perdere” e “perdere da squadra”.
La tenacia, la determinazione e la fame di successo dell’Olanda hanno dominato il caldo di Fortaleza. Arjen Robben è l’emblema di questa squadra che ha abbattuto il Messico nella giornata di ieri. Considerato fino all’anno passato eterno secondo in ambito internazionale, l’ala del Bayern Monaco è stato l’eroe di Wembely nel maggio 2013 e cerca la personale rivincita anche in questa edizione Mondiale. Quattro anni fa, nella sfortunata finale di Johannesburg, l’Olanda s’inchinava alla Spagna e perdeva la terza finale mondiale della sua storia. Oggi la squadra di Van Gaal, oltre alla qualità dei suoi campioni, ha mostrato di avere gli attributi e la cattiveria agonistica per arrivare fino in fondo, per vincere insieme al suo popolo il “mondiale dei mondiali”.
Le briciole che ci rimangono dell’imbarazzante esperienza azzurra in Brasile sono i litigi e le spaccature all’interno dello spogliatoio tra “giovani” e “vecchi”. La figura “patetica” di chi ha rappresentato la maglia azzurra, prima in campo e poi fuori dal rettangolo di gioco, è il ritratto di un paese in crisi d’identità. Accuse interne e dichiarazioni assolutamente fuori luogo mettono in discussione il lavoro svolto da Prandelli in questi anni. Bisognerà ripartire proprio da qui ed andare ben oltre l’aspetto tecnico.
Il prossimo Commissario tecnico italiano avrà il compito di far passare, in primis, il significato profondo di indossare la maglia del proprio paese. Sentirsi italiani ancor prima che giocatori di calcio deve essere il diktat per ottenere la convocazione in Nazionale. La passione e l’amore per la maglia di chi ci rappresenterà in futuro riporteranno quello spirito patriottico che è scemato dopo il trionfo in Germania nel 2006.
“In campo come nella vita”, ora più che mai.