foto da repubblica.it
Nel calcio esiste una regola non scritta che recita così: “Si perde e si vince tutti insieme; sempre e comunque da squadra.”. Questa frase non vuole alludere ad un legame affettivo tra compagni; ma ad una vera e propria “unione sportiva” sul rettangolo verde, una sorta di rapporto di fiducia e di rispetto reciproco in campo e fuori.
Partendo dal presupposto che, a mio modo di vedere lo sport, quello che succede all’interno di uno spogliatoio deve rimanere lì; la nuova filosofia italiana del “puntarsi il dito contro” pubblicamente rappresenta la mancanza di coraggio nell’assumersi responsabilità. Lo sfogo nella giornata di ieri di Cesare Prandelli ai media ha messo in forte discussione la mia stima nei suoi confronti. Ho sempre avuto fiducia nelle scelte del nostro ex commissario tecnico, prima da tifoso e poi da critico, perché ho sempre reputato l’allenatore bresciano una persona carismatica, di enorme umanità e di cultura fuori dal comune.
La disciplina e l’idea di un codice etico, per quanto discutibili, hanno lasciato trasparire che il cittì fosse una persona in grado di formare un gruppo o, quanto meno, di saperlo gestire. In Italia si sa, siamo tutti allenatori: ognuno ha un’idea diversa e la pensa a modo proprio. Personalmente credo che non sia giusto entrare nel merito delle decisioni tecniche soprattutto quando si parla di un Mondiale. Il mister fa le sue scelte, giuste o sbagliate che siano; e noi comuni mortali le accettiamo.
C’è modo e modo di uscire da una “Coppa del Mondo”. Questa Italia mi ricorda la Francia sudafricana di Raymond Domenech; una formazione spezzata a metà che riuscì a far parlare di sè solo per vicende extra calcistiche e rotture all’interno dello spogliatoio. Così, dopo i commenti a caldo post Uruguay di capitan Buffon, le dichiarazioni di Prandelli ci spogliano davanti al mondo e allungano la raccapricciante figura brasiliana.
Due partite di fila è lecito sbagliarle anche se ti chiami “Italia”, ed il Mondiale del 2010 ne è un’ulteriore conferma. All’epoca dei fatti, Marcello Lippi sottolineò i suoi errori con umiltà encomiabile e nonostante il fallimento totale della spedizione, il modo di uscire di scena del tecnico campione del mondo quattro anni prima fu apprezzato da tutt’Italia.
«Il responsabile sono io, mi prendo le responsabilità e mi dimetto.» Questa doveva essere la prima ed ultima dichiarazione di Prandelli dopo la “Caporetto sudamericana”; perché a volte è bene chiudere il sipario in silenzio, a testa alta, sapendo di aver dato tutto. A nessuno interessa sapere se l’allenatore della Nazionale paghi le tasse o faccia il selezionatore per soldi; se lo spogliatoio fosse spaccato o fosse unito, se “pepito” Rossi fosse stato una delusione a livello umano, …
Bisogna saper “essere Signori” anche nelle disfatte, imparare dai propri errori e farsi un esame di coscienza prima di parlare a sproposito.
È vero: “si perde tutti insieme…”; ma questa volta Cesare è uscito sconfitto da SOLO.