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Nel diciannovesimo secolo il patriota veneziano Marco Antonio Canini, nel suo etimologico dei vocaboli italiani di origine ellenica, sostenne che l’etimo di “diavolo” fosse lo stesso di “Dio”, in quanto entrambe le parole sarebbero derivate dalla radice sanscrita “DIU”, ossia “rilucere”, ovvero l’aere luminoso. Lo scrittore veneto aggiunse che la parola greca διάβολος (diabolos) non aveva realmente un significato sinistro come poi gli fu attribuito dalla religione cristiana, ma anzi significava semplicemente “di buon genio”, “di intelletto strabiliante”.
A fine anni novanta, un attaccante appena maggiorenne di Tacurembò, paese nel nord dell’Uruguay di poco più di 50.000 abitanti, esordisce nella squadra di calcio locale, facendosi notare dal prestigioso “Club Atlético River Plate”, una delle società più titolate di Montevideo. Dopo una breve parentesi coi “darseneros”, il ragazzo fugge nel Miramar Misiones, nella sponda opposta della capitale. E proprio qui fiorisce lo straordinario talento di Pablo Mariano Granoche Louro, attaccante dotato di formidabile intelligenza e senso del gol.
Un totale di 38 reti in poco più di 50 presenze coi bianconeri della capitale muovono l’interesse di numerosi club sudamericani. La vena realizzativa di Pablo è sotto gli occhi di tutti; lui sceglie la “Primera División messicana” e si accasa al Deportivo Toluca, formazione di una città industriale senza alcun sentimento e troppo esigente per la sua giovane età.
I presupposti per una grande stagione ci sono, ma, come spesso accade nel calcio, le cose non vanno come dovrebbero e Pablo, all’epoca ventiquattrenne, non riesce a mettere in mostra tutte le sue enormi qualità. Una stagione cominciata male quella col Deportivo, finisce nel peggiore dei modi a Varacruz, una immensa città portuale messicana della baia di Campeche, dove il ragazzo è costretto a trasferirsi nella seconda metà della stagione per cercare un riscatto che non arriverà mai.
Chi conosce Granoche, sa perfettamente quanto sia testardo. Quando vuole fortemente qualcosa, è pronto a fare carte false per ottenerla. Pablo è fatto così: ha nel sangue la grinta di chi non molla mai.
È ora di rimboccarsi le maniche e ripartire. E allora si riprende dall’altra parte del golfo di Campeche, per l’esattezza a Coaztacoalcos, nella seconda divisione messicana; sarà proprio questa la scelta che gli cambierà la vita per sempre.
Granoche è incontenibile; segna a raffica e regala prestazioni esaltanti. Su di lui mettono gli occhi importanti società europee; la Triestina dell’epoca direttore sportivo Franco “Totò” De Falco si presenta nel golfo con un milione di euro in contanti per assicurarsi le prestazione del giocatore; offerta irrinunciabile per i messicani ed opportunità grandiosa per Pablo che ringrazia, e corona il sogno di giocare in Italia.
La casa del Deportivo Toluca, ossia “La Bombonera Nemesio Díez”, è conosciuta in patria come la tana dei “Diablos rojos” (Diavoli rossi) per via delle casacche color rosso infuocato. Un giornalista Triestino, affascinato dalla storia della formazione messicana dove proprio il ragazzo militava, comincia a chiamare Granoche già dalle prime uscite: “quello dei diavoli rossi”. La grinta da guerriero e l’eccezionale astuzia sotto porta con la maglia alabardata fanno di lui “El Diablo”, un soprannome che diventerà suo per tutta la vita.
Non delude le aspettative. D’altronde, come avrebbe potuto con quella fame di gol? Segna in tutti i modi: di destro e di sinistro, di testa e in acrobazia, di potenza e di precisione. È pronto per una big del calcio italiano; si parla di un possibile trasferimento a Napoli, il direttore Marino conferma l’interessamento ed il diavolo è pronto a mettere le ali.
Tutto troppo bello fino al 10 maggio del 2008: una data che “El Diablo” non può scordare. Quel caldo pomeriggio di primavera, la formazione triestina ospita al Nereo Rocco un Piacenza senza troppe pretese. 7 minuti del primo tempo e la sfortuna si mette di mezzo perchè il ginocchio dell’uruguaiano fa crack: rottura del legamento crociato del ginocchio e addio sogni di gloria.
Ma Pablo è fatto così: ha nel sangue la grinta di chi non molla mai.
Non sono bastate 24 reti in cadetteria per meritarsi la massima serie, “El Diablo” rimane un’ulteriore stagione nella società giuliana per curarsi. Soffre lontano dalla squadra ma conosce meglio di tutti l’inferno e torna più forte di prima dopo circa 6 mesi. La seconda stagione in Friuli è quella della sua definitiva consacrazione; Giovanni Sartori, direttore sportivo del Chievo, coglie l’occasione per portarlo nella società dei mussi volanti e lo chiama: per il diavolo di Montevideo si aprono, per la prima volta, le porte della serie A.
Nella Verona di Romeo e Giulietta, Granoche non vive la favola calcistica che avrebbe sognato; la tremenda voglia di giocare e di mangiare l’erba lo portano in Piemonte nel neopromosso Novara, dove non trova la continuità sperata e, per evitare la retrocessione, si vede costretto a tornare nel campionato cadetto.
Vede sfumare la massima serie col Varese di Rolando Maran in una finale playoff amara, prima dell’opaca esperienza a Padova, dove l’attaccante non lega con la piazza ed è costretto a fare subito le valigie. Il trasferimento a Cesena da mister Bisoli è imminente; l’allenatore bolognese gli promette uno spazio che “El Diablo” non ottiene; Novellino ne approfitta e gli dà la grande “chance” per il rilancio a Modena.
Sotto la Ghirlandina lo scetticismo intorno al diavolo è dirompente; in pochissimi credono in lui. “È un giocatore finito”, dicono da Padova a Cesena. “Non tornerà mai il bomber di Trieste”…
Si sbagliavano. Si sbagliavano di grosso! Granoche è ancora una punta fuori categoria, un attaccante da stropicciarsi gli occhi. In 5 mesi segna 10 reti in 21 partite ed entra nella storia gialloblu. Diventa l’idolo dei tifosi, i quali gli dedicano cori ed uno striscione solo suo. Al termine del campionato ascolta il cuore e decide di rimanere in Emilia per realizzare insieme a tutta la città il sogno di tornare nel paradiso del calcio italiano.
Pablo è fatto cosi: ha nel sangue la grinta di chi non molla mai ed è pronto per una nuova sfida.