Il suo sorriso contagioso ti entra nel cuore il primo istante in cui lo conosci, il suo mancino sul rettangolo verde invece, ti rimane nella mente per tutta la vita. Enrico Rosi parla del suo passato come un orgoglio personale, con un filo di emozione e qualche rimpianto per quello che sarebbe potuto essere il suo futuro nel mondo del calcio.
E pensare che la Sampdoria aveva perso la testa per il suo estro quando ancora calcava i campi della polisportiva di Gaggio, paesino di poco più di duemila abitanti. A 10 anni si è troppo giovani per andarsene via di casa, pensano i genitori. Enri non viene coinvolto nella decisione e rimane in Emilia. Inevitabile, dunque, la chiamata del Modena F.C, all’epoca la più prestigiosa formazione professionistica nel panorama geminiano.
Era il primo luglio del 2001 quando il club di viale Monte Kosica acquisiva quasi per caso i diritti di un adolescente dal talento straordinario, un ragazzino che per doti tecniche pareva non avere limiti di crescita. Una storia di amore e odio quella con la società gialloblu che, da un lato, lo ha cresciuto come uomo e, dall’altro, gli ha precluso la grande possibilità di diventare un calciatore professionista.
Sette anni con la casacca canarina sempre coi più grandi, perché Enri ha qualcosa in più rispetto ai coetanei: il suo rendimento è da stropicciarsi gli occhi. Il Modena se ne accorge negli allievi nazionali e forza i tempi della sua crescita: vuole che il ragazzo si sviluppi fisicamente per arrivare formato nel calcio dei grandi. Poco prima della maggiore età prende delle proteine in polvere per aumentare la massa muscolare; per Rosi sarà l’inizio di un breve e tormentato declino.
Nell’estate del 2005 il suo procuratore lo porta sulle rive del fiume Tees, a Middlesbrough, dove svolge un provino di una settimana coi “The Boro”. Il piede vellutato e la stoffa del campione non convincono gli inglesi e così Rosi ritorna sotto la Ghirlandina per disputare il campionato “Primavera”.
Qualcosa è cambiato: lo sgusciante numero 10 ha arretrato la sua posizione, ed ora, è un regista di tutto rispetto. La visione di gioco e la sciabolata col contagiri non mancano ma brillantezza e dinamismo non sono più quelli di qualche mese prima. Dopo la firma del precontratto, Enri sceglie di andare a farsi le ossa in Serie D, per l’esattezza a Castelfranco Emilia, a due passi da casa. Ad un brutto infortunio al flessore, si aggiungono tanti piccoli guai fisici dovuti al cambio di costituzione; un vero calvario per il ragazzo, che vede svanire il sogno di tornare nel calcio che conta.
Chi lo conosce lo sa: Enrico è una di quelle persone di cui ti innamori al primo confronto, al primo scambio di battute, alla prima vera conversazione. Capello biondo, viso angelico e occhi che non sanno mentire; una persona acqua e sapone che colpisce al primo impatto per la sua eccezionale umiltà. Non è mai stato un calciatore professionista e probabilmente non lo sarà mai, ma una cosa è certa, signori miei: se in questo mondo c’è una persona che per qualità tecniche e umane avrebbe meritato di misurarsi coi migliori, beh, quello è proprio Enrico Rosi.