Ho iniziato a giocare a calcio e da sempre i numeri nove mi hanno fatto innamorare. Van Basten fu il primo, quello con più classe, il più forte di tutti, poi c’era Luca Vialli, il mio idolo. Negli allievi, quindicenne imballato di sogni, entravo in campo con il suo nove, la stessa sua fascia da capitano blu, il suo polsino nero kappa, le sue scarpe diadora con baffo giallo. Madó come mi sentivo forte, Hulk spostati che arrivo io.
Luca Vialli era il Capitano, era forza mentale, prima che fisica, il trascinatore, l’ho sempre pensato invincibile. Poi un giorno Luca Vialli spiega il suo rapporto col cancro, con cui lotta da anni, e lo fa con parole non scontate: “So che, per quello che mi è successo, ci sono tante persone che pensano che se sto bene io, possono farcela anche loro. Sono stato un giocatore e un uomo forte, ma anche fragile, e penso che qualcuno possa essersi riconosciuto nella mia storia. Il cancro é un compagno di viaggio indesiderato. Ma devo andare avanti, senza mollare mai. Sperando che si stanchi, e che mi lasci vivere ancora per tanti anni”. Ecco perché chi dice “é solo sport” non potrà mai capire cosa proviamo noi che pensiamo “altro che solo sport” quando vediamo Luca e Mancio abbracciarsi come ieri sera a Wembley.
Noi che in quell’ abbraccio ci mettiamo tutto, ci mettiamo i loro gol, le loro vittorie, le loro sconfitte. La più dolorosa di quelle sconfitte fu in quello stesso stadio (ora ricostruito di pacca) e la punizione di Koeman ce la ricordiamo come fosse ieri e ci fa ancora male, eccone se ci fa male. E allora altro che solo sport, in quell’ abraccio c’è un pezzo di vita, ci sono vita e sport che mi mescolano, in modo meravigliosamente romantico. Forza Capitano, Forza Luca, Forza Azzurri.