di Daniele Cavallini
L’idea di questa serie di scritti me l’ha fornita Louis Hamilton quando, all’indomani della gara di Imola del 2020 ha dichiarato: “ormai si risparmia pure sui trofei, quello di Imola però è da custodire” e ancora “questa coppa è sicuramente da custodire e in più è pesante, questo significa che non è di materiale che si trova a buon mercato. Spesso i trofei che vengono consegnati sono di plastica, specialmente nei kart, ma per noi piloti hanno un significato importante. Più si sale di categoria e più ovviamente le coppe salgono di livello, quando sono arrivato in F1 ho iniziato a collezionare dei trofei veramente stupendi. Ultimamente, però, si è fatta economia sulle coppe per risparmiare”.
Al di là dei materiali, condivido con il pluricampione di F1 l’impressione che i trofei, in tanti ambiti, siano ormai davvero brutti e non diano il corretto valore all’impresa compiuta da chi ha meritato il podio.In passato i trofei erano, spesso, vere opere d’arte, affidate all’estro di scultori e maestri fonditori.Oltre alla classica coppa, infatti, tante sono le sculture che hanno premiato i campioni delle 2 e delle 4 ruote fin dagli albori delle competizioni motoristiche. L’argento poi, è stato il materiale che, insieme al marmo, l’ha fatta da padrone.
In questa prima uscita, voglio ricordare una prima volta molto lontana: il primo circuito di Sanremo, corso il 25 luglio 1937. La splendida coppa in foto, alta, veramente pesante, di certo opera di un artista dell’epoca, è vinta da Achille Varzi.
Il campione stava vivendo una fase di declino sportivo, dovuta ad una relazione complicata con la bellissima dama tedesca Ilse (nella foto Achille Varzi con Ilse Hubitsch nel 1937 ai box del circuito di Sanremo), e alla dipendenza dalla morfina.
La gara arriva dopo un periodo disintossicante in Svizzera. Scrive Giorgio Terruzzi sul suo bellissimo libro dedicato a Varzi “Una curva cieca”: Il 25 luglio 1937 la biografia di Achille registra un movimento. Dopo dieci mesi e dodici giorni di inattività, Varzi torna ufficialmente al volante di un’automobile da corsa. La macchina è, manco a dirlo, una Maserati, quasi a ribadire la resistenza di una vecchia amicizia. Si tratta di una “vetturetta” di 1.500 cm cubici messa a disposizione del pilota dalla Scuderia Ambrosiana. L’operazione vede coinvolti Carlo Felice Trossi e Giovannino Lurani che sono – anche loro – signori del volante. Achille disputa il Circuito di Sanremo: vittoria e giro veloce.
Varzi, dopo Sanremo, partecipa a sole tre gare prima della Seconda guerra mondiale, 2 nel 1937 e una nel 1938, senza alcun risultato soddisfacente.
Parlando di fatti del 1938, Teruzzi scrive: La famiglia ha deciso di far curare Varzi di nuovo in una clinica per un lungo periodo in modo da allontanare definitivamente in qualunque modo il passato Achille partì per Modena la clinica si chiamava Villa Igea. La nuova cura è davvero lunga ovviamente costosa probabilmente efficace. Varzi torna a Galliate solo alla fine del 1938 accompagnato da un infermiere che ha il compito di seguire il paziente sino all’avvenuta riappropriazione dei ritmi normali.
Del periodo disintossicante presso Villa Igea a Modena non ci sono testimonianze dirette, l’unica nota che ho trovato è riportata sul libro dedicato all’80° della casa di cura (Villa Igea 1937 – 2017 Storia di una sorgente di salute), l’anno citato è il 1939, successivo quindi a quello riportato da Terruzzi sul suo libro.
“Il giorno 26 giugno 1939 venne accolto in degenza un personaggio famoso per meriti sportivi che soffriva per cefalea, disturbi del sonno e della alimentazione, disturbi che, dalla anamnesi, risultarono poi causati da “dipendenza da oppiacei”. La degenza per disintossicazione e per disassuefazione si protrasse per circa tre mesi in un primo ricovero e per poco più di due mesi in un ricovero successivo, nello stesso anno. Possiamo anche affermare che durante questi periodi di degenza, vennero messi a dura prova, sia la pazienza e l’abilità dei curanti, che la presa di coscienza della propria patologia da parte dello stesso paziente. Il buon esito del trattamento terapeutico e psicoterapeutico, l’aiuto della famiglia e il grande amore per le sue vittorie, riportarono l’avversario di Tazio Nuvolari a riprendere a correre in macchina e a vincere”.
E’ vero, al termine della guerra, dal 1946 al 1948, anno in cui troverà la morte in pista, a Berna, sarà 15 volte sul podio e di queste 5 sul gradino più alto!