5 minuti soli (pochi), da dedicare oggi alla violenza usata sulle donne.
Non è un semplice lamento. E’ perché la violenza, a volte, parte da lontano.
Anche nello sport. Anche in uno sport ‘duro’ (non violento) come il rugby.
Prima delle botte tra le mura domestiche.
Prima delle tragedie in nome di qualcosa chiamato amore, che con l’amore non c’entra un cazzo.
Prima delle piccole e grandi prevaricazioni sul lavoro, a casa, per strada.
Ci sono tanti momenti che a volte si commentano con una risata amara, anche se lasciano segni sotto la pelle.
Molto peggio dei lividi di una partita.
Sono quelle battute che ti vengono fatte quando dici che giochi a rugby: “Sai che la farei proprio volentieri, una mischia con tutta la tua squadra?”.
Sono quelle frasi sguaiate dette con la birra in mano, dopo una partita. Non ti guardano neanche negli occhi, ma cercano approvazione spalleggiandosi a vicenda: “Le donne a cui piace il rugby sono o lesbiche o cagne. Tu di che categoria sei?”.
Sono ammiccamenti, doppi sensi viscidi, allusioni becere: questo va ben al di là della goliardia. Della simpatia. Dello spirito di fratellanza che ti porta anche, spesso e volentieri, a prendere per i fondelli le persone a cui vuoi bene.
Non si merita questo, una persona che quel campo se lo guadagna con impegno e fatica, ogni allenamento, ogni partita, ogni sera, ogni benedetta volta che prende quella palla ovale tra le mani: come ogni giocatore di rugby di questo mondo.
5 minuti soli, oggi, per una parola quasi sempre scomodata, quando si parla di questo sport: rispetto.