Le stagioni cambiano e si vede anche dallo stato del campo.
L’amatissimo e sudatissimo campo, alla primavera, ci arriva veramente malconcio.
Sabbia, rulli, generose annaffiate… non si può comunque nascondere ciò che è evidente agli occhi ed al tatto.
Erba, non ve n’è. Ciuffi di gramigna sparuta. Tarassaco ai bordi, fuori dalle linee bianche di gesso. Margheritine tisiche. Ma erba proprio no.
Ci pensa il custode, a spargere il fertilizzante, spinto e motivato dal più ingiustificato ottimismo: grumini bianchi che sembrano inoffensivi. E se invece sfreghi la pelle per terra (circa 30 secondi dopo l’inizio della partita o allenamento, in genere), scopri essere altamente urticanti e fastidiosissimi.
Il custode ha la sigaretta sempre accesa, sempre in bocca, mai tra le dita, impegnate con spago, conetti, badile, motocoltivatore. Non si dà mai pace: impreca contro la siccità e contro i tacchetti dei bisonti del campo. Non ha mai giocato a rugby, ma è la persona che passa più tempo sul campo da rugby. Ormai è vecchio, o almeno, sembra vecchio. Gira su una Cinquecento violetta, tirata come una Ferrari e sempre lucida. Fa un bel contrasto con i suoi abiti da lavoro, logori e perennemente sporchi di terra.
Durante le partite sta defilato da una parte, quasi soffrendo per il fatto che il suo lavoro di una settimana sia vanificato da un’invasione barbarica di una manciata di minuti.
Il custode ci dice di fare allenamento dietro l’area di meta. L’allenatore si incazza, e lui si giustifica, che sono ordini del Presidente. L’allenatore si rassegna, bofonchiando: “Se l’ha detto il Presidente, allora va bene”.
Non l’ho mai visto dare confidenza a nessuno. Eccetto quella volta, dopo un terzo tempo: doveva proprio aver esagerato col Lambrusco, perché non riusciva neanche a guidare. L’ha accompagnato a casa il Presidente, guidando l’ambitissima Cinquecento violetta (probabilmente, non vedeva l’ora di farlo, e ha mascherato il suo gesto come opera di benevolenza nei confronti dei sottoposti… vatti a fidare di un Presidente!).
Il custode, una volta, mi ha dato il suo biglietto da visita: io ho preso il cartoncino bianco tra le mani, curiosa più che altro per scoprire quale titolo si era assegnato, per definire la sua professione, occupazione principale, nonché meravigliosa ossessione.
E c’era scritto così, oltre al numero di telefono: “Sergio”.