di Alessandro Bosi
Nella notte tra domenica e lunedì, si è tenuto il secondo episodio della saga più bella del mondo in un AT&T Center di San Antonio perfettamente condizionato, e i risultati non si sono fatti attendere.
Storicamente, in una serie lunga sette partite, la prima sfida è sempre quella più imprevedibile e meno utile a definire quali saranno i trend e le chiavi di volta della serie stessa. Di solito, è proprio dalla seconda partita che si possono iniziare a fare considerazioni accurate e ipotizzare le previsioni sul risultato finale e in questo senso Gara 2 delleNba Finals non ha tradito le attese.
La Nba, forse conscia del dramma tutto europeo di assistere alle partite in piena notte, ha deciso di “anticipare” l’inizio della gara, quindi alle 2.00 italiane è stata alzata la prima palla a due.
I coach hanno schierato gli ormai abituali quintetti iniziali e si è iniziato a giocare in un clima decisamente teso, soprattutto sulla sponda Miami Heat consapevoli che la seconda sconfitta consecutiva comprometterebbe fortemente la corsa al titolo.
Il primo quarto è stato giocato su ritmi non troppo elevati e ha visto subito emergere come protagonista il solito Tim Duncan che, come in Gara 1, non ha aspettato molto a ingranare le marce alte. Dopo i primi dodici minuti il suo tabellino recitava già 11 punti e 3 rimbalzi (di cui due offensivi). Dall’altra parte, si sono viste due brutte partenze per Lebron e Dwyane Wade; se il primo, reduce da una partita che lo aveva visto marginale per problemi di crampi, ha deciso di iniziare attaccando un po’ testardamente il canestro con scarsi risultati, il secondo è sembrato totalmente assente dal match, quasi svogliato e il suo primo tempo si chiuderà con ben 4 palle perse. Nota più positiva della squadra di Spoelstra è stato certamente Chris Bosh, il cui inizio aggressivo (3 tiri a bersaglio per lui nel primo quarto) lo ha aiutato a entrare in partita non solo offensivamente. Il dato a mio avviso fondamentale di questa prima frazione di gioco, terminata sul 26-19 in favore degli Spurs, è il numero di canestri assistiti da parte di San Antonio; la banda di coach Popovich ha assistito nove degli undici canestri dal campo nel quarto, sintomo di un movimento di palla che può far male all’aggressività difensiva degli Heat.
Il secondo quarto di gara si è aperto con un mini-parziale degli Spurs (4-0) che ha contribuito a garantire ai texani un vantaggio di undici lunghezze dando il primo strappo potenziale alla gara.
Gli Heat hanno reagito subito da grande squadra, e grazie a un contro-parziale di 9-0, targato soprattutto LBJ, hanno riaccorciato le distanze dimostrando sin dall’inizio che, come per Gara 1, la matassa sarebbe stata sbrogliata solo nel finale di gara. Il quarto procede sui binari dell’equilibrio e si fa segnalare solo per il terzo malaccorto fallo di Ginobili che è costretto a tornare in panchina per non rischiare di essere espulso. Gli Spurs, privi della guardia argentina, si affidano a Tony Parker il quale firmerà gli ultimi sei punti nero-argento del quarto, assestando il punteggio su una perfetta parità a quota 43.
Dopo l’intervallo lungo le squadre tornano in campo con il fuoco negli occhi, consapevoli che negli ultimi 24 minuti ci si gioca potenzialmente una buona parte della serie e del titolo. e mettono su uno spettacolo cui io, nella mia tutt’altro che centenaria carriera di appassionato Nba, non avevo mai assistito.
I 12 minuti di passione si aprono con un tema tattico molto evidente; il dominio a rimbalzo d’attacco di San Antonio. Premesso che nessuna delle due squadre, anche se per motivi diversi, può considerarsi un juggernaut a rimbalzo, la compagine texana, soprattutto grazie all’immortale Tim Duncan e al giovane Leonard, è riuscita a garantirsi una grande quantità di seconde e terze opportunità su tiri sbagliati contemporaneamente aumentando il proprio bottino e impedendo di innescare la micidiale macchina del contropiede Heat.
Miami è una squadra estremamente restia a schierare contemporaneamente due lunghi sul terreno di gioco perché, anche se migliora le proprie possibilità a rimbalzo,è una tattica che penalizza fortemente lo spacing offensivo e la mobilità difensiva, caratteristiche indispensabili per gli uomini della Florida. A questo dominio sotto i tabelloni Miami ha risposto con un quarto di Lebron che non può essere descritto in altro modo che “onnipotente”. A chi scrive di sport, ogni tanto, piace pensare alle partite come a sfide scacchistiche, fatte di mosse e contromosse, di aggiustamenti e innovazioni tattiche ma la realtà è diversa. La realtà spesso ci ricorda che alla fine dei conti, chi ha nelle sue fila il giocatore più forte, vince. E se qualcuno avesse qualche dubbio che Lebron sia il miglior in campo (e dell’universo mondo), allora semplicemente non ha guardato abbastanza basket. Il predetto LBJ scrive a referto 14 punti, di cui i più impressionanti sono quattro jump-shots consecutivi, mandati a bersaglio senza emettere una sola goccia di sudore. Pura onnipotenza.
Verso la fine del periodo, Green e Leonard, i due mastini difensivi principali di San Antonio a causa del quarto fallo personale per entrambi, sono costretti a tornare in panchina lasciando qualche minuto per Marco Belinelli. Al bolognese tocca l’ingrato compito di occuparsi di Wade che sfortunatamente (ma non solo) decide di risvegliarsi dal torpore con cui aveva giocato i primi due quarti e mezzo e mette a referto quattro punti consecutivi sulla testa dell’impotente Marco negli ultimi due minuti del quarto. La terza frazione di gara si chiude sul 78-77 in favore degli Spurs che hanno anche “vinto” il quarto 35-34.
Dopo lo showdown offensivo del terzo periodo ci si aspettava un’ultima frazione di gara a più basso punteggio e così è stato. Le due squadre, affaticate e nervose, sono entrate subito in bonus (dopo il quale ogni fallo comporta tiri liberi), fattore che ha contribuito a spezzare totalmente il ritmo della partita. Con poco più di sei minuti sul cronometro e San Antonio sul +2, Chalmers, playmaker degli Heat commette un flagrant foul ai danni di Tony Parker. La squadra di Popovich si trova dunque con due tiri liberi e il possesso successivo; riusendo ad andare a punti in entrambe le situazioni potrebbero azzannare la partita per la gola e iniziare lo strappo decisivo. Parker sbaglia i suoi due liberi e sull’azione successiva Duncan subisce un fallo che lo conduce a sua volta in lunetta. 0 su 2 anche per il caraibico, e San Antonio si fa dunque sfuggire un’incredibile chance per mettere la testa avanti. Miami non si fa sfuggire l’occasione e mette a segno un mini-parziale di 5-0 al quale risponde Boris Diaw con una tripla dall’angolo. Con quattro minuti e mezzo sul cronometro la partita è in perfetta parità a quota 90. Con la partita sul filo del rasoio gli Heat chiamano un uscita a ricciolo per Ray Allen; Duncan lo raddoppia ma la guardia di Miami trova perfettamente il tagliante Andersen che appoggia due comodi punti al tabellone.
+2 Heat.
Si va dall’altra parte e la palla dopo uno scarico finisce a Parker, uno dei giocatori meno inclini al tiro pesante, che insacca una tripla dall’arco che fa esplodere il palazzetto nero-argento.
+1 Spurs
Gli Heat non si disuniscono e disegnano una giocata che dopo un ribaltamento, mette Bosh in condizione di colpire dall’angolo destro. L’americano sbaglia ma gli Spurs da questo punto in poi smettono di eseguire affidandosi esclusivamente al talento individuale. Nell’altra metà campo Ginobili sbaglia una tripla e con un minuto e mezzo sul cronometro Miami ha nuovamente la palla in mano sul -1. La squadra di Spoelstra gioca la stessa azione precedente ma questa volta Bosh insacca la tripla.
+2 Heat
San Antonio ha un bisogno disperato di punti ma perde un sanguinoso pallone sull’asse Ginobili-Duncan. La partita sostanzialmente finisce qui, e poco incideranno i possessi successivi. Gli Heat sbancano l’AT&T Center col punteggio di 98-96.
La serie ora si sposta verso le bianche spiagge della Florida e non ci resta che sperare i prossimi capitoli di questa bellissima storia si rivelino emozionanti quanti quelli che abbiamo già vissuto.
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