Nella notte del Maracana di un afoso mercoledì sera, è stata scritta una delle più importanti pagine della storia recente del calcio e dello sport in generale. La Spagna bicampione d’Europa e campione del mondo è stata, senza mezzi termini, annichilita da un Cile commovente che ne ha matematicamente sancito l’eliminazione delle furie rosse dal torneo più importante del mondo. Potrei stare qui ore ed ore a tessere le lodi della squadra di Sampaoli (cosa che probabilmente farò nel prossimo futuro), ma in quest’occasione mi sembra necessario concentrarsi sulla regina deposta e su cosa questa squadra ha rappresentato per il nobile giuoco del calcio (e per me).
L’influenza che il gioco spagnolo ha avuto, sta avendo ed avrà sul calcio mondiale è incredibile; molte delle fasi di gioco che hanno reso gli spagnoli la miglior nazionale al mondo (di sempre??), sono state letteralmente prese ed importate in una miriade di nazionali (il pressing dello stesso Cile è un’evoluzione della versione spagnola), squadre di club, giovanili fino ad arrivare alle squadrette di periferia. Se in un campetto senza erba di una remota provincia italiana, vedete una squadra di promozione che per far uscire la palla, alza i terzini e fa scendere il regista in mezzo ai due centrali, lo si deve quasi esclusivamente alla Spagna. Se in un altro campetto spelacchiato di un’altra periferia italiana, vedete il centravanti venire a giocare la palla tra le linee, lasciando lo spazio per gli inserimenti di esterni e centrocampisti, lo si deve quasi esclusivamente alla Spagna.
E per questo gli diciamo grazie.
Certo, non è che la Spagna, o di riflesso il Barcellona, si siano inventati di sana pianta questo stupendo sistema di gioco. La ricerca dello spazio è simile a quella del calcio totale olandese, l’uscita della palla è figlia di La Volpe (Guadiola, Del Bosque e la buon’anima di Aragones potrebbero confermarvelo) e la fase di recupero palla trova le sue origini nel Milan di Sacchi. Quello che è più incredibile, è dunque il fatto che gli spagnoli siano riusciti a “mettere le cose insieme”, creando un gioco che traeva chiaramente spunto da modelli passati, ma che metteva i suoi splendidi giocatori nelle condizioni di massimizzare i propri pregi e nascondere il più possibile i propri difetti. Se provate a mettere quel genio di Xavi in una squadra di Mazzarri, forse vi farebbe rimpiangere Ricky Alvarez (mi sa che qua ho un pò esagerato).
E per questo gli diciamo grazie.
Il messaggio di fondo è che una squadra composta da giocatori con queste caratteristiche, non poteva giocare in altro modo per avere questo successo e, se mi permettete, due europei e un mondiale in quattro anni sono discreto bottino. Fermarsi a un’analisi di questo tipo sarebbe tremendamente riduttivo perchè, in fin dei conti, il motivo per cui tutti noi seguiamo il futbol è per le emozioni che ci regala. La Spagna, escludendo comprensibilissimi motivi di tifo, è la nazionale che negli ultimi anni ha regalato più emozioni di tutte. Senza ombra di dubbio.
E per questo gli diciamo grazie.
Allora mi diverto a pensare che una squadra composta quasi esclusivamente da normotipi (in un calcio che sta sempre più evolvendosi in uno sport da atleti più che da giocatori), abbia fatto correre la palla e gli avversari fino a stordirli, abbia dimostrato a tutto e tutti che non è necessario il fisico di Ibrahimovic per giocare ad alti livelli (sperando che il buon Ibra non legga queste righe). E mi piace pensare anche, che tutto questo successo sia frutto di una preparazione, di un’impostazione, di una cultura calcistica estremamente moderna. Se pensiamo alle cantere e alla quantità di talenti che sono riuscite a sfornare, a coltivare e a rischiare nel momento giusto, troviamo un perfetto esempio di come migliorare un campionato in crisi come quello italiano.
E per questo forse gli diremo grazie.
L’eliminazione dalla coppa del mondo non è la fine della Spagna o del tiqui taca, è solo un punto di partenza per tutti i talenti spagnoli del domani. Il sistema di gioco si evolverà, i vari Deulofeu, Alcantara, Koke e Morata si svilupperanno e se tra qualche anno ce li ritroveremo sul tetto del mondo, per capire come ce l’hanno fatta, basterà guardare indietro. Basterà guardare agli Xavi, agli Iniesta, ai Villa e ai Puyol come i giocatori di oggi hanno guardato i vari Ronaldo, Zidane e Del Piero. Perchè l’impronta che hanno lasciato sul calcio è di quel tipo.
E per questo gli diciamo grazie.