Tanto tuonò che piovve: l’Italietta è fuori dal mondiale brasiliano e la cosa non stupisce chi ha visto gli “azzurri” contro Costarica e Uruguay. Due tiri in porta in 2 partite non potevano dare altro che questo risultato. La vittoria sull’Inghilterra aveva illuso un po’ tutti, compreso chi scrive queste note. Il tifo, spesso, ti fa sragionare, ti fa vedere quello che in realtà non c’é, tutti ci siamo convinti che l’Italia era forte, che era tra i favoriti per la vittoria finale, che quando i giochi si fossero fatti duri i “duri” avrebbero fatto sentire la propria voce. E invece bastava non dare ascolto alle lodi sperticate della stampa allineata al gran completo sul carro del sicuro vincitore Prandelli, e andare con la memoria alla recente ultima amichevole pre-mondiali. Di fronte a 30000 perugini entusiasti che cantavano tutti insieme l’inno di Mameli, gli “azzurri” il loro grazie per tanta commovente accoglienza lo manifestarono pareggiando indecorosamente con il Lussemburgo (!!!). Era un segnale d’allarme inequivocabile, un tam tam che rimbombava cupamente. Ma quel segnale non è stato recepito. La stampa, scritta e televisiva, era troppo presa dalle gags di Cassano e Balotelli, da cosa avevano mangiato i nostri eroi a pranzo e a cena, quale era la fidanzata più bella, per accorgersi del pericolo. Adesso tutti giù dal carro, dove erano pronti a salire in massa. Prandelli è il peggiore dei C.T. quando, prima dei mondiali, era l’oracolo, la verità assoluta, l’intoccabile, il testimonial di 1000 pubblicità, l’amico del cuore del premier Renzi. Così è l’Italia, non solo nel calcio ma in tutte le manifestazioni del viver civile. Quando uno vince tutti ai suoi piedi, quando dopo un po’ la stessa persona perde ecco il fuggi fuggi generale. Nella sconfitta, bruciante e umiliante, Prandelli un vantaggio lo avrà: s’accorgerà del diradamento velocissimo dei presunti amici e capirà quali sono i pochi amici veri: una consolazione non da poco. Prandelli e il presidente della Federazione Abete hanno dato le loro irrevocabili dimissioni. Atto da condividere, una logica conseguenza di una gestione fallimentare a tutti i livelli. Quindi niente complimenti per il gesto che era, come minimo, dovuto.
Inizia adesso il valzer dei nomi quale nuovo C.T.. Ma qui non si tratta di un nome, Allegri, piuttosto che un altro, Mancini: si tratta di rendersi conto che il sistema calcio Italia è tutto sbagliato (da anni…) e che tante cose vanno riviste. Ci vuole un uomo forte che prenda in mano la situazione e riscriva e imponga le regole. È ora di finirla con il fatto che due sole società, Juventus e Milan, facciano il bello e brutto tempo. Il calcio deve tornare alle società, a tutte le società, e nei posti di comando, in quelli che contano, non è detto che sempre, dico sempre, ci siano uomini o del Milan o della Juventus. Ripeto, ci vuole un uomo forte che riordini le cose e che dia una svolta anche traumatica, se occorre. Ci vuole la voce del Coni, il presidente Malagò ha il ruolo, il carisma e i poteri per farlo. E allora si parta, il calcio va commissariato. Si valorizzino le tante risorse sane e di assoluto valore che il nostro movimento ha.
L’Italia adesso è in ginocchio, ma come sempre e come la storia ci dice, saprà risollevarsi. Ma si deve fare in fretta, e ovviamente anche con molta ponderazione.
Paolo Borea