Nella foto Giacinto Facchetti
Era il 4 maggio 1949; l’aereo del “Grande Torino”, la squadra in assoluto più forte del mondo, si schiantava contro il muraglione del terrapieno della Basilica di Superga, segnando la fine di un’epoca. Quella granata era una compagine senza eguali guidata da giocatori straordinari come Valentino Mazzola e Franco Ossola; si trattava di una formazione leggendaria capace di dominare il campionato per ben 5 anni di fila e che rappresentava non solo il calcio italiano, ma anche la nostra Nazionale. Le ceneri di quella maledetta tragedia e della seconda guerra mondiale portarono un evidente declino calcistico del nostro paese a cavallo tra gli anni ’50 e ’60. Tra spedizioni fallimentari e mancate qualificazioni, gli azzurri sprofondarono nel loro punto più basso ai mondiali inglesi del ‘66, quando furono eliminati dai dilettanti della Corea del Nord. Solo dopo 20 anni di buio totale a livello internazionale, la rinascita del nostro calcio vi fu nel campionato Europeo del ‘68 al culmine del “miracolo economico italiano”. Allora vincemmo il titolo in casa nostra con un po’ di fortuna, nella doppia sfida con la Jugoslavia. Quella fu la vera e propria rinascita della nostra Nazionale, l’inizio di un’egemonia mondiale che sembrava non avere fine.
Erano altri tempi, era un’altra società e soprattutto, era un altro calcio; ma la crisi che ci troviamo ad affrontare oggi in Italia ha parecchie analogie con quella di 60 anni fa. Il fenomeno di Calciopoli, nell’indimenticabile estate in cui diventammo campioni del mondo, ed il crollo dei mercati finanziari, l’anno successivo, sono stati il movente fondamentale della depressione del calcio italiano. Il successo tedesco degli eroi di Berlino nel 2006 non è stato altro che l’ultimo trionfo di un paese che oggi si trova a fare i conti con problemi di ogni genere e che, in questo momento, non vede alcuna via d’uscita.
C’era grande voglia di rivincita dopo la disfatta “Lippiana” in Sudafrica, ma come già accaduto nella prima metà degli anni ’60, ci troviamo ad affrontare, per la seconda volta consecutiva, un’eliminazione in un girone mondiale più che abbordabile. Cesare Prandelli è indubbiamente il responsabile numero uno di questa sciagurata esperienza sudamericana, ma il tracollo della nostra amata Nazionale è solo lo sfondo di quello che il nostro paese sta attraversando. Poche idee e società mal gestite, senza obiettivi e progetti lungimiranti, ci hanno fatto perdere il ruolo di protagonisti a livello Mondiale, ormai da diverso tempo. La disfatta di un paio di giorni fa in Brasile e la morte di Ciro Esposito, tifoso in coma dal giorno della finale di Coppa Italia, sono lo specchio di un “paese malato” che deve voltare pagina al più presto per dare un segnale forte alla sua gente.
Stadi obsoleti, rapporti conflittuali con i tifosi e mancanza d’investimenti nei settori giovanili sono solo alcuni dei problemi che vanno immediatamente affrontati per rivedere la luce nel prossimo decennio. Il secondo posto agli Europei ucraini del 2012 ha mascherato le evidenti lacune di una Nazionale che non è più sorretta dalle grandi società italiane e che non garantisce un ricambio generazionale di giocatori all’altezza. Come ha sottolineato capitan Buffon nell’intervista post Uruguay, è giunto il momento di fare un esame di coscienza, di cambiare mentalità e di risolvere le vicende economico-sociali che affliggono il nostro paese.
Mezzo secolo fa, Gigi Riva e Giacinto Facchetti furono in grado di riportare la luce in patria vincendo il campionato Europeo. Chissà che non torneremo grandi proprio in Francia tra due anni. Cari Fratelli d’Italia, sapremo rialzarci. Uniti possiamo tornare ai vertici del calcio mondiale. Lo abbiamo già dimostrato.