Il rugby è uno sport di squadra.
Per tutti, tranne che per il calciatore.
Il calciatore è una specie di prescelto: quello che ha ‘i piedi buoni’.
Teoricamente, durante il gioco, i piedi li possono usare tutti.
Ma in pratica li usa solo lui, per mutuo accordo, e muto rispetto nei confronti delle abilità differenti.
Lo status è certificato da un prolungamento in solitaria dell’allenamento.
Quando tutti hanno finito le loro fatiche quotidiane, e si avviano sereni verso la meritata doccia, tirandosi amorevoli pugni tra le costole o insultando benevolmente le familiari di sesso femminile fino al sesto grado di parentela, lui rimane lì sul campo, stoico.
Un pallone (o due), un conetto, i pali.
E un amico sacrificato (se va bene) per restituire i palloni per un nuovo tentativo.
Il calciatore sistema il pallone sul conetto.
La cucitura deve essere rivolta in direzione del punto esatto in cui si vuole tirare.
La camera d’aria rigorosamente verso il piede.
Rincorsa ripetuta millimetrica dopo infiniti aggiustamenti, che serve sì per la tecnica, ma ha anche l’innegabile valore di un potentissimo rito scaramantico.
Posizione yogica di intenso raccoglimento, mani giunte e ginocchia flesse (i maligni la raffigurano come una preparazione all’evacuazione corporea, ma ovviamente si tratta solo di schiamazzi invidiosi, causati dal grande privilegio riservato al probo calciatore). E sguardo oltre i pali, quasi a vedere l’ovale già spiovente dall’altra parte, nel punto giusto, accolto tra i due pali e sopra la traversa, per i punti in più che non poche volte sono determinanti.
Ecco, provateci voi, visto che fate tanto i furbi!
Il gioco è fermo.
Dietro le spalle si sente tutta la pressione muta del resto della squadra, che sa di dipendere da quel calcio, e da quel piede.
“E che cazzo! Con tutte le volte che è rimasto lì a provare, vuoi che vada a sbagliare proprio adesso?”.
La responsabilità pesa come un macigno. Il pubblico trattiene il fiato. I giocatori avversari sono tutti oltre la linea di meta, dalla parte opposta, per raccogliere l’ovale nel caso in cui resti in campo, ma soprattutto per gufare, diciamocelo.
Attimo sospeso prima della rincorsa, il piede d’appoggio punta, il piede dietro viene teso come un arco e… impatto! La palla vola, ruota come rallentata; tutti cercano di indovinare la traiettoria, chi ha calciato invece sa già. I due guardalinee alzano le rispettive bandierine: è dentro!
Esplode la gioia intorno e dietro al calciatore; tutti vanno ad abbracciarlo e a complimentarsi.
Il calciatore deve godere di questo attimo fuggevole di gloria e bearsene finché può, perché la gratitudine umana è per sua natura effimera ed alla fine del prossimo allenamento, ahimè, tutti avranno già dimenticato quei due punti decisivi, e andranno diretti verso lo spogliatoio e verso una pinta di birra; il calciatore, invece, sarà ancora con l’ovale, il conetto ed i pali.
Di nuovo solo.