La notizia è ormai da qualche giorno sulla bocca di tutti, ne hanno parlato televisioni, giornali e siti internet più o meno specializzati e come in ogni vicenda italica, l’unica cosa di cui si può essere certi è che non ci sono certezze. Tra esperti, santoni da salotto televisivo, profeti da tastiera e opinionisti vari, tutti si sono sentiti in diritto e in dovere (se giustamente o no, lo lascio decidere a voi) di fornire il proprio parere sull’ultima pagina di quello che una volta era “il calcio più bello del mondo”; con la mente fredda e lucida, proviamo dunque a far luce sul caso Tavecchio, meteora più recente di un universo ormai in rovina.
Partiamo da una premessa: scrivere di razzismo e delle implicazioni che ne conseguono per chi, come il sottoscritto, non lo ha mai vissuto in prima persona nella sua accezione più pura, non è operazione facile. Si rischia di scivolare nel terreno delle frasi fatte e della falsa retorica perbenista ma, fatto ancora più grave, si rischia di non parlare del problema in sè, e di conseguenza di non contribuire a risolverlo. Detto ciò, il caso in questione è di una rilevanza talmente importante per i suoi risvolti etici, ma anche per le sue più pratiche conseguenze calcistiche, che non permette di esimerci.
Partiamo dai fatti: venerdì 25 Luglio, all’assemblea della Lega Nazionale Dilettanti (LND), Carlo Tavecchio sta tenendo un discorso per la sua candidatura a presidente della FIGC, come successore di Giancarlo Abete. Fila tutto liscio fino al momento fatidico in cui, paragonando il rapporto con i calciatori stranieri che abbiamo in Italia rispetto al modello inglese, dalle labbra di Tavecchio escono le seguenti parole: “In Italia è titolare nella Lazio uno che fino a ieri mangiava le banane”. In una sala divisa tra il disgusto e l’imbarazzo, l’intervento del candidato presidente giunge alla sua naturale conclusione, mentre in rete si sta già scatenando l’indignazione.
Al fattaccio, già abbastanza grave di per sè, si succedono altre dichiarazioni dello stesso Tavecchio che non fanno che aggravare la situazione. Incalzato riguardo all’infelice affermazione, il dirigente della LND confida le seguenti parole: “Le banane? Non mi ricordo neppure se ho usato quel termine, e comunque mi riferivo al curriculum e alla professionalità richiesti dal calcio inglese per i giocatori che vengono dall’Africa o da altri paesi“.
Se questo sia stato un modo un pò “paraculo” per difendersi, o se invece sia stata davvero la testimonianza di un individuo dimentico di ciò che aveva detto non molto tempo prima, poca importa. L’importante è sottolineare come, anche quando messo di fronte al fatto, il primo pensiero di Tavecchio non sia stato quello di scusarsi con tutti coloro che, con quelle parole, poteva avere offeso. In un paese che conosce così bene il problema dell’integrazione e le difficoltà che esso comporta, questo solo fatto dovrebbe essere sufficiente a provocare le dimissioni di Tavecchio e il fatto che questo non sia accaduto è il simbolo di uno sbagliatissimo modo di pensare tutto italiano. La poltrona prima di tutto.
Nel discorso ormai divenuto celebre si è proposto di correggere le storture del calcio italiano con regole nuove e pene più severe; il regolamento attualmente in vigore prevede la chiusura delle curve o addirittura degli stadi nei casi di episodi legati al razzismo. Sarebbe interessante chidere al signor Tavecchio se anche per i tifosi di cui si sente un cosi’ acceso sostenitore esiste la possibilità di cavarsela con un “Sono stato frainteso”. Pretende di portare una ventata di nuovi valori, quando in prima persona manca dell’indispensabile qualità necessaria a un personaggio nella sua posizione; la coerenza.
Allargando un pò la prospettiva, la levata di scudi contro il dirigente della FIGC non può che far ben sperare. Dalla politica ai giornalisti, dalla rete fino agli stessi presidenti delle società, si è alzato un urlo di sdegno nei confronti delle dichiarazioni razziste (e giustamente direi io). Quattro società (Juventus, Roma, Fiorentina e Sampdoria) hanno ritirato il loro appoggio alla candidatura di Tavecchio, molte altre potrebbero andare nella stessa direzione, sono stati lanciati hashtag sui vari social network contro la sua nomina e lo stesso Renzi si è dimostrato profondamente indignato della situazione.
Nonostante la maggior parte dell’opinione pubblica si sia fortemente schierata contro il razzismo, ci sono alcuni segnali che dovrebbero comunque farci riflettere. Se digitate su Google la parola “Tavecchio”, la prima schermata di risultati che appare, vi riporta a una serie di articoli in cui la disdicevole dichiarazione del suddetto viene sempre definita come “gaffe” o “scivolone”. In un paese che, a ragione o no, si ritiene totalmente contrario al razzismo, le parole di Tavecchio meriterebbero ben altro trattamento della stampa e se quello del razzismo, nonostante tutto, è ancora un problema bello grosso in Italia, lo si deve anche ad atteggiamenti del genere.
Altro spunto di riflessione ce lo offre il fatto che la stessa FIGC si stia dimostrando incapace di risolvere il problema alla radice, avviando un’indagine (di cui non si capisce il senso), quando la soluzione sarebbe tagliare il problema alla radice.
Tutte queste (opinabili) considerazioni senza considerare il lato calcistico della vicenda. Il calcio italiano, reduce dalla disfatta brasiliana da cui si sperava perlomeno di poter ricavare le basi per il futuro, sembrava intenzionato a eleggere come suo presidente un ultrasettantenne che si è scoperto essere razzista. Il rinnovamento da tutti invocato non può certo passare da una persona del genere, ed è per questo che gli organi in carica facciano in modo che non accada.