Nella foto Lucidio Sentimenti alla sua quinta gara da titolare in Serie A.
A cura di Principino Andrea
Settimo di nove figli, di cui 5 maschi, Lucidio Sentimenti cominciò a tirare i primi calci in quell’area feconda del calcio modenese che è stata Bomporto.
I quarti di nobiltà li aveva tutti, eppure era ancora presto per capirlo, quando il Modena lo acquisì. La leggenda vuole che fosse stato il fratello Vittorio, già canarino, a consigliarlo al sodalizio gialloblu e che i dirigenti del Modena lo scritturassero per paura di non farsi scippare un Sentimenti, come accadde nel caso di Arnaldo. Più prosaicamente lo stesso Lucidio, in un’intervista, parla di “provino”, né più né meno di qualsiasi altro calciatore.
Il provino andò sicuramente bene, ed il ragazzo aveva doti che potevano assicurargli un buon futuro come calciatore di manovra. Fatto si è che qualcuno decise che il suo posto fosse a difesa dei pali, nonostante fosse dotato di una cannonata di tutto rilievo (allora si usavano palloni molto diversi dagli attuali).
Di seguito l’ottimo pezzo di Filippo De Rienzo, tratto da “Il bello di 100 anni”, Artioli Editore.
Lucidio Sentimenti (IV)
Con il quarto figlio la signora Sentimenti giunse alla perfezione del cromosoma calcistico. Fisico, potenza, agilità e anche tecnica, racchiuse in un portiere che avrebbe potuto giocare all’ala, Lucidio, detto Cochi. Visto che il III prometteva benissimo ed anzi era già in prima squadra, nel 1937 il Modena prelevò dal Nonantola il fratello minore, Lucidio appunto.
Questo era un bel tipo, agile, non altissimo, ma dai muscoli scattanti; lo videro giocare e videro che aveva buoni piedi, poi videro che sapeva anche parare e lo misero in porta. Non aveva ancora giocato una partita in gialloblu che Cochi era già il terzo portiere della prima squadra.
Passato un anno Lucidio esordì, direttamente in Serie A, superando la concorrenza di Mosele e Sellan che non convincevano. Quello di Cochi fu un crescendo: 11 presenze nel 38-39, 26 nel 39-40 e 33 nel 40-41, in Serie B. Non ancora ventunenne Lucidio aveva intanto iniziato a mettere a punto uno stile singolare, soprattutto nelle uscite basse. A differenza dei colleghi del tempo non si buttava con le mani, con il corpo, tra i piedi dell’attaccante, che c’era anche da rimetterci i denti, usciva invece con i piedi: si faceva prima e con la sua tecnica e il suo calcio potente capitava pure che potesse rilanciare l’azione. Era un portiere-libero ante-litteram. Al termine della stagione 40-41 Cochi si meritò la chiamata della Juventus, insieme al fratello maggiore, ma dopo pochi mesi, a dicembre, fu rispedito a Modena, per fare ancora un po’ di gavetta. In quel finale di stagione 41-42 Lucidio trovò anche il tempo di battere il fratello Arnaldo, portiere del Napoli, su rigore.
Quel 17 maggio 1942 nessun canarino voleva tirare, si avvicinò Lucidio e il fratello, un vero spaccone, gli disse che glielo avrebbe parato con una mano sola. Cochi si avvicinò e tirò una spingardata che “Chery” non vide neanche. Rientrato alla Juve, il IV divenne ben presto titolare e si affermò nel dopoguerra come uno dei migliori portieri italiani, guadagnando anche il posto da titolare in Nazionale (9 presenze). Era l’epoca del Grande Torino e accadde anche che nel maggio 1947, contro l’Ungheria fosse l’unico giocatore “straniero” in un formazione composta da dieci giocatori granata. Dopo essere passato alla Lazio e da qui al Vicenza, Lucidio chiuse la
carriera proprio in granata, giocando 3 gare da titolare nel campionato 1958-59.