FONTE: Il Resto del Carlino
Sono ormai trascorsi 15 anni da quel 19 novembre del 2000. Eppure quando dici Como-Modena viene spontaneo non tanto pensare al risultato sportivo, quanto a quello che successe in quel pomeriggio. All’aggressione subita da Francesco Bertolotti un’ora dopo la partita. Un pugno vigliacco scagliato da Massimiliano Ferrigno. Bertolotti cade, batte la testa, rimane per un minuto senza respirare. Viene portato a Lecco in coma, le sue condizioni risultano gravissime. Viene operato la notte stessa ed uscirà, fortunatamente dal coma, il 27 novembre. Oggi Bertolotti, 48 anni, padre di quattro figli di cui due arrivati dopo quella vicenda, ha ripreso una vita, se si può dire, normale. «Lavoro sempre all’Immergas con Amadei – racconta – il calcio per me è allenare una squadra di under 16 vicino a casa mia. E poi da lontano seguo sempre il Modena. Soprattutto i miei figli». Sabato torna Como-Modena.
Lei cosa si sente di dire?
«Prima di tutto vorrei che la gente pensasse che si tratta solo di una partita di calcio. Sarei dispiaciuto se, per quello che è capitato a me, si trasformasse in una gara a rischio».
Ha mai rivisto o incontrato Ferrigno in questi anni?
«Una sola volta al processo. Abbiamo solo incrociato i nostri sguardi e basta».
Le scuse non sono mai arrivate?
«Mai. Ed è la cosa che mi ha dato più fastidio. Uno può anche sbagliare nella vita, ma voler nascondere il tuo errore dando la colpa agli altri è assurdo».
A distanza di tempo avrà cercato di ricostruire l’accaduto.
«Ricordo la partita, ma poi buio totale. Lui venne espulso perchè, per motivi che nessuno comprese, mi colpì al volto».
Ferrigno pensò ad una sua sceneggiata.
«Avevo il labbro gonfio. Così mi raccontò il dottor Sala. La partita finì con la vittoria del Como non del tutto meritata. Lui aveva vinto e io perso».
Poi?
«Ci incrociammo negli spogliatoi. Lui mi disse: questa non me la dovevi fare. Gli risposi: se guardi le immagini in tv capisci bene che hai sbagliato tu. Poi ognuno prese la sua strada».
Poco dopo quello che nessuno poteva immaginare.
«Ero andato a fare alcune interviste. Dovevo solo riprendermi la borsa nel nostro spogliatoio e raggiungere i miei compagni che erano già sul pullman».
Lei Bertolotti fu costretto a lasciare il calcio
«Ho una placca di metallo in testa. Il medico che mi operò disse: se prendi una botta in testa torni qui nelle stesse condizioni di prima. E così ho lasciato. Posso solo allenare, nemmeno un calcetto con gli amici».
Quando riprese una vita normale?
«Dicembre del 2001. Per un anno non ho potuto guidare, andavo in giro a vendere caldaie con mia moglie alla guida e i miei figli dietro a fare i compiti».
Lei faceva parte di un Modena che poi in due anni salì in A.
«Avevo 33 anni, giocavo nel Modena ma continuavo a lavorare alla mattina. Non potevo lasciare un posto sicuro per due anni di calcio. Quel Modena era fortissimo, mi sarebbe piaciuto arrivare con quei ragazzi in serie A. Loro sono stati fantastici soprattutto l’anno dopo».
E lei la serie A l’avrebbe meritata. Il processo si è concluso nel 2008. Avrà avuto almeno un risarcimento in denaro?
«Se avessi giocato l’anno dopo a Modena avrei guadagnato di più rispetto a quello che gli avvocati hanno concordato. Ma non importa. Io adesso sono qui a raccontare questa storia assurda. Ed è già importante poterlo fare».