Che cosa porta una ragazzina a voler giocare a rugby, se è robusta come un sacchetto biodegradabile per la spesa, se fa 40 chili con le pietre in tasca, se è bionda, timida e con la risata di un pulcino?
La prima volta che l’ho vista al campo, con i pantaloncini larghissimi, dai quali traballavano fuori quelle due coscettine secche, mi sono detta: “A posto: questa si rompe in una settimana!”.
Ma non si rompeva mai.
Prendeva dei placcaggi terrificanti.
Roba da fare tre metri indietro, con le gambe per aria. Macché! Squassava la testa, con un lieve rumore di maracas, e si rimetteva a trotterellare per il campo.
Perché non era neppure veloce, porco cane! O astuta, o destabilizzante. O carismatica.
Non aveva un pregio che uno, salvo la sua incrollabile fede nel rugby.
Una sera si chiuse dentro il bagno. Si era bloccata la serratura, e non riusciva più ad uscire.
Tutte le altre, chiacchierando, si erano mosse fuori dallo spogliatoio, una volta pronte.
E nessuna che si fosse accorta della sua mancanza.
E’ stata la pilona, tornando a prendere il paradenti dalla borsa, che ha udito il flebile vagìto provenire dalla porta chiusa: “A…iuto, a…iuto”, quasi sottovoce, per non disturbare.
La pilona, dai modi spicci ma efficaci, l’ha fatta scostare e, con una gran spallata, ha scardinato la resistenza della porta.
La pulcina era lì, tutta tremante, con in mano il rotolo di carta igienica che prudentemente si era portata da casa.
L’allenatore la metteva in campo tutte le volte con l’angoscia, perché le altre al confronto sembravano delle ruspe con la benna: “Non riesco ad immaginare niente di più lontano dal rugby di lei!”.
E invece un talento l’aveva: ha cominciato a scrivere di rugby per le riviste specializzate. Ed un libro.
E’ proprio vero: nel rugby, ci sono quelli che il pianoforte sono nati per suonarlo, e quelli che il pianoforte lo spostano!